Giorgio Fontana

fontana– Giorgio Fontana, giovane autore di Morte di un uomo felice, vincitore del Premio Campiello 2014. Partiamo da qui, da questo riconoscimento che è un punto di arrivo per il romanzo e per tutto il lavoro svolto fino ad oggi, ma è anche un punto di ripartenza per i lavori futuri. Come é arrivato a narrare le vicende del magistrato Giacomo Colnaghi e quali sono i progetti futuri?
Colnaghi era già presente nel precedente romanzo, “Per legge superiore”: una volta terminata la stesura, non riuscivo comunque a togliermelo dalla testa. Mi sembrava un personaggio molto interessante, pieno di grandi possibilità narrative. E così (benché, lo confesso, avessi molto timore ad avventurarmi in una storia su quegli anni così intricati) mi sono ritrovato a scriverne – e con una certa naturalezza è venuta fuori la storia parallela del padre partigiani. Progetti futuri: al momento è ancora tutto sospeso, visto che ho pochissimo tempo libero. Ho in mente un paio di piccoli saggi e un romanzo breve, sempre ambientato a Milano, ma che parla di tutt’altro. Vedremo…

– Quest’anno Terre di Mezzo ha rieditato una sua opera del 2008, oggi più attuale che mai, Babele 56, una serie di racconti dal punto di vista della linea di superficie 56 di Milano, quella che attraversa via Padova e i quartieri multietnici della città. È possibile spiegare in poche parole che emozioni e sensazioni le hanno lasciato quelle persone e quei racconti?
La riedizione di “Babele 56” per me è molto importante. Quel libro è stata una bella avventura: sia per il lavoro linguistico e la novità del mezzo (il reportage narrativo, che ancora non avevo affrontato se non per qualche breve pezzo), sia in termini umani. L’averlo scritto quasi per strada, cercando di riportare la voce e le esperienze dirette delle persone che ho intervistato, mi ha dato molto.

– Lei è un autore giovane e molto bravo, ha scritto romanzi di attualità e di riflessione. Quale consiglio si sente di dare ai ragazzi perchè siano partecipi con coscienza alle problematiche di oggi e anche a chi è a contatto con i ragazzi per spronarli ad una maggiore coscienza sociale?
Non saprei. Io sono solo uno scrittore – ho sempre il timore di dire banalità quando mi si chiedono consigli in questo senso. Di sicuro però credo sia necessario puntare tutto sull’educazione, nel senso più ampio del termine: educare al riconoscimento dell’altro, al tenersi informato, all’esercizio della critica razionale. E all’autonomia. Per fare questo però bisogna liberarsi dalla diffidenza e dalla rassegnazione. Troppo spesso sento dire che “i ragazzi di oggi sono tutti dei dementi” – come no: invece i ragazzi di ieri erano tutti santi…

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