Matteo Corradini nasce come ebraista, approfondisce la conoscenza del mondo di Anna Frank e della Shoa e studia modi sempre nuovi e creativi per comunicarli ai ragazzi: che percezione hanno le nuove generazioni degli eventi drammatici del 1900?
Hanno di solito la percezione di eventi lontani nel tempo, ma non solo: lontani dal mondo com’è fatto ora. Per la lontananza temporale, sono d’accordo. È come se a me o a te parlassero di Napoleone: lo sentiremmo perlomeno distante. Per la lontananza dal mondo com’è fatto ora, lì concordo meno. Ed è il lavoro che di solito mi impegna di più. Il senso, spesso, è che se non hai vissuto sulla tua pelle le violenze fisiche che subivano gli ebrei, è perché il mondo è migliorato. Ma tu, ragazzo o bambino, puoi avvicinarti a quel mondo attraverso alcune esperienze che certamente hai vissuto: la solitudine, il dolore, l’essere preso in giro, il sentirti diverso. Non significa con questo che i bambini di oggi possano “provare da dentro” quel che provavano gli ebrei: sarebbe impossibile e illusorio. Ma possono avvicinarsi a una briciola di quanto accaduto, e scoprire che quella briciola assomiglia al presente, cambia il tuo presente, chiede a te, prima di tutto, di cambiare.
Da La repubblica delle farfalle ad Annalilla i ragazzi sono protagonisti e portatori di messaggi molto più grandi di quanto lo sono loro, mentre la cronaca porta alla ribaltà una generazione per molti versi “allo sbando”. Sei un romantico sognatore o pensi che la realtà sia differente da quella che ci raccontano?
Non so quale sia la realtà che ci raccontano. Mi basta vedere che quando capita qualcosa a un tredicenne i giornali (anche online) lo chiamano “bambino”. Prova tu a chiamare così un tredicenne e vedere poi dove ti manda. Non credo di essere romantico, ma sognatore forse sì: c’è una realtà molto bella, che è la realtà dei preadolescenti. Entrare in dialogo con i ragazzi non significa ritornare ragazzi noi stessi, ma significa prendersi a piene mani la responsabilità di essere adulti, diversi. Anche la responsabilità di non capire fino in fondo.
Con i tuoi laboratori sei spesso a contatto con i ragazzi e ho avuto modo di registrare pareri entusiastici da parte dei partecipanti: qual è, secondo la tua esperienza, il modo migliore di comuninicare con loro? Quali gli elementi su cui puntare e quali i limiti da scardinare?
A dire la verità, non ho proprio idea di quale sia il modo migliore per comunicare con i ragazzi. So che sentono una forte attrazione per tutte quelle persone che ripongono fiducia in loro. E non solo persone, ma anche cose, o luoghi, o momenti… quando si accende la scintilla della fiducia, spesso nasce qualcosa di buono. Quando mi fido di quel che un ragazzo dirà o farà, dei suoi gusti, delle sue scelte, posso permettermi il lusso di ascoltarlo, chiedere, assaggiare un po’ della sua vita. E allo stesso modo so che forse mi ascolterà, chiederà. Se non mi fido, o se lui non si fida, vedremo solo le nostre differenze. E ci sembrerà insormontabile affrontarle.
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