«Ma a dirla tutta eravamo nel 1978 e quello che volevamo, noi compari, era solo fare un po’ di macello […]. Le ragazze a quell’epoca venivano dopo. Dopo gli amici e dopo il pallone. Un terzo posto onorevole, direi».
È necessario partire dall’explicit dell’opera per capire la grandezza di Cosimo Argentina, capace di raccontare una Taranto diversa da quella dell’acciaio e dei tumori senza mentire o favoleggiare alcunché. Non sono infatti le fabbriche o i mali a sparire: è la prospettiva di chi guarda a questi fatti a essere diversa. L’autore racconta la città e i suoi quartieri dal ragguardevole metro e mezzo di altezza dei protagonisti della sua vicenda: dei bambini che – come quasi tutti i loro pari età – hanno un’unica chiave di lettura degli avvenimenti circostanti: una chiave sferica, di cuoio, a volte sgonfia. È il calcio a scandire le giornate del protagonista Camillo Marlo e dei suoi compagni: un calcio giocato su campi improvvisati, tifato sugli spalti dello stadio e perfino sognato dinanzi a un provino con la Juventus che catturerà le emozioni del Marlo fino all’ultima pagina del romanzo. Andrebbe ringraziato l’autore per aver sostituito al classico “pallottoliere della morte” un racconto che, non ignorando i fatti e le sofferenze, ricorda al lettore che a Taranto non si muore soltanto ma si vive, si ama, si sogna.
di Graziano Gala
Cuore di cuoio
Cosimo Argentina
Fandango Ed.